Vergano

martedì 9 giugno 2009

IL CARRETTO (Al carott)

Ci sono accadimenti che restano impressi nella mente, per sempre. Forse non dobbiamo più chiamarli solamente ricordi, poichè convivono sempre con noi ed affiorano ogni volta che sfioriamo qualcosa a loro legata: non hanno bisogno di essere riesumati a fatica dai meandri della memoria. Alcuni, specialmente quelli vissuti nell'infanzia, hanno contribuito a formare il carattere, oppure hanno condizionato il modo di essere e i comportamenti del futuro. E non è detto che, agli occhi degli altri, debbano essere stati eclatanti. Importante è, per chi li ha vissuti in prima persona, che diano modo anche negli anni a venire di suscitare emozioni come se fossero appena capitati.

Uno di questi accadimenti ha avuto per protagonista principale mio fratello Eugenio, di due anni più anziano di me, ed il "Carott". Erano i tempi in cui avevamo forse setto od otto anni e giocavamo spensieratamente all'aperto per i quattro mesi (!!! bei tempi...) di vacanza estivi dalle scuole.
Per avere materiale fotografico per questo post, dato che le immagini in Internet non mi soddisfacevano completamente, ho esternato al mio fratello (è lui il reporter delle immagini) il desiderio di fotografare degli antichi carretti degli anni cinquanta che i contadini usavano per i loro trasporti nei lavori agricoli. Un giorno Eugenio, reduce da una pedalata dalle parti di Sizzano e Barengo percorrendo la strada dove "le risaie lasciano il posto alle colline Novaresi", mi riferì che passando vicino alla tenuta "Il Parco Le Cicogne", location per banchetti, meeting, ricevimenti nuziali, (http://www.parcolecicogne.com/) di Marcodini Giancarlo , ne aveva notato uno proprio all'interno della tenuta.




Le due immagini sopra riportate sono ricavate dallo splendido motore di navigazione di Ambiente Italia 3D del "portale cartografico nazionale". (simulazione di volo su tutto il territorio nazionale!) Si notano il laghetto artificiale,la vasta tendostruttura, il porticato, la casa, all'interno del quadrilatero delimitato dalle strade circostanti.
Così ci è ritornato, armato di macchina fotografica, ed ha pure incontrato Giancarlo che noi conosciamo bene perchè siamo stati ,quando eravamo ancora giovincelli e lui un ragazzino, camerieri in erba presso il ristorante "Da Paniga" che suo padre avviò negli anni sessanta e che lui ha portato successivamente alla notorietà e ribalta anche nazionale. Grazie alla sua disponibilità, Eugenio ha potuto scattare diversi particolari del carretto (che è quello sopra e sotto raffigurato che lui ben sapeva di dover riprendere... e ne capirete il motivo continuando a leggermi. Nostra vicina di casa era la famiglia di una mia cugina, figlia di mia zia "Pina", anziana sorella di mia madre. Ne facevano parte,oltre i genitori, due ragazze (una mia coscritta) ed un ragazzo, nostri coetanei e compagni di giochi. Poche volte loro venivano nel nostro cortile, mentre io con mio fratello e mio cugino ci spostavamo spesso dietro casa nostra dove avevano la stalla ed il fienile. Luoghi più adatti per imbastire o improvvisare giochi e divertirci in compagnia, mentre da noi non esistevano particolari zone adatte per dar libero sfogo alla fantasia. Oltre ad avere, se non ricordo male, un paio di mucche, possedevano numerosi attrezzi agricoli poichè la loro attività era ancora prevalentemente dedita alla coltivazione dei campi e delle vigne. Tra questi un "barozz" (leggasi alla francese "bareauz"), un carro a quattro ruote lungo e senza sponde (non era da tutti...) ed un "carott", il più semplice mezzo di trasporto che necessitava solo di una mucca per il suo traino. Come quello in foto. Parcheggiato sotto il portico davanti alla stalla, diventava, quando scarico, il nostro beniamino per l'utilizzo in un gioco audace ed inebriante. Ci assicuravamo del blocco delle ruote tramite la manovella, posta sul lato di una stanga per poter essere subito utilizzabile dal conduttore che affiancava la mucca che trainava il carro. Comandava una vite senza fine collegata ad una serie di bacchette che mettevano in tiro o in rilascio la traversa alla quale erano attaccati i "ferodi" frenanti, a seconda se girata a destra o a sinistra.

Quasi all'estremità delle due stanghe dove era collegata l'imbragatura per la vacca, adattavamo un seggiolino proprio in mezzo ad essa. A turno vi ci sedevamo, mentre tutti gli altri andavano a far forza sulla parte posteriore del carretto in modo da innalzarlo verso il soffitto e poi rilasciare le forze ed accompagnare il più velocemente le stanghe verso la discesa a terra Ho trovato in rete questa spassosissima immagine che può ben dimostrare il tipo di gioco che usavamo fare... Dai e dai, ci si impegnava a potenziare maggiormente la spinta della parte posteriore del carretto fino a farla arrivare sempre più velocemente in alto e poi a terra. Chi era seduto tra le stanghe strillava entusiasta ad ogni rimbalzo in sù, aiutandosi poi, a volte, con la spinta delle gambe per avere uno stacco più deciso.E l'eccitazione aumentava. Chi era alla parte posteriore rinvigoriva lo slancio facilitato anche dal ritmo altalenante che assumeva il movimento del carretto, sempre più velocemente. Fino a che.. Una bella volta l'eccesso di vigoria utilizzata dagli "spintori posteriori" non produsse il patatrac... Mi ricordo che davanti ero seduto io. Dopo essere stato lanciato in alto per tre o quattro volte, l'ebbrezza iniziava a lasciar posto ad un pò di "fifa" a causa degli stacchi sempre più violenti al momento di cambiare direzione, con conseguente possibilità di perdita di equilibrio. Decisi quindi di abbandonare il seggiolino, una volta posati i piedi a terra, e portarmi anch'io verso il retro per dare il cambio agli altri. Appena lasciata la postazione di lancio, mi accorsi che posteriormente continuavano nella loro opera di movimentazione e la velocità aumentava. Le stanghe senza più il mio pur limitato peso, si innalzavano vorticosamente verso il cielo... ed un urlo risuonò da dietro... Vedetti mio fratello Eugenio iniziare a correre, piangendo e strillando, verso il sentiero che portava alla nostra abitazione, appena lì a due passi. Trasecolai. Non mi resi conto subito di cosa fosse successo. Chiesi qualcosa ai cugini e capii che si era fatto veramente male seriamente. Mi misi anch'io a correre verso casa giungendovi quando mia madre, gridando per la disperazione, già stava occupandosi della gamba destra di mio fratello. Riuscii a vedere solo del sangue, poi distolsi gli occhi e mi allontanai. Sentii dire di chiamare il dottore, sentii profferire la parola "tetano": spettro di ogni nostro infortunio con ferite da taglio su oggetti arrugginiti. Me ne stetti in disparte non osando interferire e maturando dentro di me un turbinio di domande. Cosa era successo? Ero stato io, abbandonando il gioco, a causare quella disgrazia? Avrei dovuto avvisare che mi staccavo? Saliva sempre più in me un senso di disagio e mestizia che instaurava pian piano nella mia mente una specie di senso di colpa rimasto poi negli anni : avevo causato del male a mio fratello. Venne chiamato il dottore medico condotto dal telefono del negozio di alimentari, in cima alla via del Casale. Nessuno allora lo possedeva in casa. Il dottor Orazio Di Francesco, nostro mitico e apprezzatissimo medico di famiglia, giunse in pochissimo tempo, in bicicletta da Borgomanero ( Tempi eroici per la categoria...) con l'occorrente per medicare e cucire la ferita di mio fratello, iniettargli l'antitetanica e fasciare il tutto. Ma cos'era successo?
Nella foga della spinta, o meglio con la velocità di discesa assunta dal carretto, un uncino dell'argano, che veniva utilizzato per tirare ed avvolgere con la "soga" (corda di canapa) il carico sul pianale, andava a conficcarsi nella coscia di mio fratello procurandogli un gran buco che andava in profondità e che gli aveva lacerato brandelli di carne.


Ne ostenta ancora oggi la cicatrice, quasi con orgoglio. Ed io rabbrividisco rivedendolo sanguinante correre urlando verso casa...

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