Vergano

martedì 2 dicembre 2014

Alla ricerca delle vigne che furono

Prima parte 



 Quattro giugno 2010
 Con Silvio e Floriano alla Cumiona , zona dei vigneti che furono di Vergano.
Km. 9,1







Inizio questo post con un po' di apprensione poiché il lavoro che mi prefiggo si preannuncia abbastanza lungo in quanto prevedo di inserire numerose citazioni che potrebbero fuorviare la linearità del racconto.
Comincio col dire che ho lavorato parecchio coi filmati che inserirò. Innanzi tutto la cassetta originale ha una lunghezza tale da non poter essere caricata in Youtube . Ho dovuto perciò, utilizzando il programma di conversione video di Pinnacle, suddividerla in sette spezzoni, creando anche opportuni (secondo me...) commenti audio mixandoli con il sonoro originale. Ho impiegato un giorno intero per crearli e poi caricarli su Youtube in modo da permettermi la condivisione nel mio blog.
Ecco la prima parte .




Prima di entrare nel vivo del racconto, voglio citare il motivo per cui, dopo che il mio blog è rimasto inattivo per parecchio tempo, ho ripreso a postare.
Ho incontrato poco tempo fa mentre facevo acquisti alla mia abituale edicola, Floriano. Ci siamo soffermati a discutere del più e del meno e tra gli argomenti della nostra conversazione è spuntato pure il mio blog "Al Sciscion" . Floriano ha esordito dicendo che quando accede al computer spesso va alla ricerca se ci sono novità nelle mie pubblicazioni, poiché si aspetterebbe di vedere descritto il resoconto della nostra escursione nel territorio della Cumiona, alla ricerca dei posti in cui sorgevano i vigneti  Verganesi, con Silvio come nostro appassionato ed appassionante "cicerone" quale custode mnemonico dei luoghi e della loro toponomastica dialettale. E poi aggiungeva degli elogi convinti riguardo alla eccellente qualità dei miei scritti, esortandomi a continuare con altri racconti. Debbo dire sinceramente che sentire tali apprezzamenti mi ha fatto enorme piacere e mi ha spronato a ritornare nel Web, non nascondendomi le difficoltà che avrei incontrato, conoscendomi e sapendo con che pignoleria avrei affrontato il lavoro, alla ricerca di una mia perfezione stilistica e contenutistica.
Così eccomi qui a raccontare di quella bellissima e soleggiata giornata di giugno di quattro anni fa.
In quel periodo ero appena fuoriuscito dal gruppo AIB di Borgomanero, dopo aver trascorso un anno, il 2009, con un paio di interventi chirurgici a dir poco devastanti e mi stavo riprendendo fisicamente a poco a poco. Avevo comunque mantenuto rapporti occasionali con alcuni del gruppo. Con Silvio, che aveva perorato la mia presenza nel gruppo stesso appena un anno dopo il mio pensionamento dal lavoro quattro anni prima, memore delle stagioni d'oro da entrambi vissute attivamente nell'ambito sociale e ricreativo di Vergano, a volta anche in concorrenza (ACLI e circolo VERGUS) ma spesso in collaborazione per i carnevali, intorno agli anni 70-80, in particolare avevo scoperto una certa identità di vedute e sintonia di intenti. Così avemmo occasione di esternarci la necessità ed il desiderio di effettuare delle leggere e salutari sgambate, per nulla impegnative, date le condizioni fisiche di entrambi, ma che rammentassero contenuti storici e territoriali in modo da stimolare i nostri ricordi. Feci la proposta di percorrere i sentieri (se ancora esistenti...) che portavano alla zona dei vigneti coltivati dalle genti di Vergano. Accettata entusiasticamente, in una stupenda giornata pre-estiva, dal clima ideale per un'escursione nei boschi, attuammo il nostro proposito. Compagno di viaggio Floriano. Guida riconosciuta ed apprezzata Silvio che, con i  ricordi della sua adolescenza, ancora vivissimi ed appassionati, è riuscito a trasformare una semplice passeggiata in una sorta di storia paesana.
Floriano ed io siamo saliti, dal "Piemunt" dove abita, fino alla casa del Silvio in via Castello. Dopo i convenevoli dei saluti, ci siamo incamminati in discesa, lungo la stradicciola ....che porta all'oratorio di San Rocco. (Di questa strada potrei, prossimamente, raccontarne le vicissitudini al tempo del Gruppo Zero, nel 1970...)

 

Sfiorato l'oratorio, ci siamo diretti a sud imboccando prima la sterrata e poi la nuova strada asfaltata che porta al Cimitero, dopo aver attraversato il ponte sul Sizzone. Ad ovest del muro di recinzione del camposanto partiva il sentiero che abbiamo imboccato (ed ora dopo quattro anni è già difficile vederne la traccia , invaso dalle sterpaglie e nuove robinie attecchite). Subito Silvio ci ha edotto sul nome della zona ,già pendio, ad ovest: le Selve o forse meglio "Selvi" in dialetto. Al suo culmine il "Roclu". (In effetti, come fattomi poi rimarcare da Silvio, dovrebbe essere chiamato "Ruclin" poiché il vero Roclu , Roccolo in italiano, luogo dove avveniva la cattura degli uccelli grazie ad una zona delimitata da reti che ingabbiavano i volatili in una morsa mortale, era il rialzo dove ora è stato costruito il condominio all'estremità nord di Vergano, poco prima di Mirasole. Forse venne ai tempi denominato Ruclin perché era una versione minore di un Roccolo? )
Abbiamo proseguito poi, verso sud, in piano su una pista ben battuta e larga, fino ad incontrare il fosso che raccoglie le acque scolatizie provenienti dalla zona superiore dei Livelli ("Nivei"). E' il "Creus (leggere alla francese... Mannaggia come è difficile scrivere in dialetto...) d'la vigna d'la Gesa" come ci informa saggiamente Silvio. A questo punto ci siamo direzionati verso ovest  con la strada che inizia leggermente a salire. Alla nostra destra il bosco della "Rulina" di proprietà del fu Gabriele Ubertini (grande possidente terriero di Vergano) ed ancora oggi, forse, appartenente ai suoi figli. Prima di imboccare l'erta che sale verso i Nivei, Silvio ci ha accompagnati fino a che il sentiero lo permette , per farci intravedere che di là dal Creus esisteva il sentiero che portava ai vigneti della "Mujota". Era la via di accesso dei residenti di Canuggioni e Baraggioni per raggiungere tale zona. Percorsa parecchie volte anche da me, ragazzino, quando mio zio Battista vi coltivava il suo vigneto ( a dir la verità credo che appartenesse a mio zio Dobra che non era più in grado di curarlo). Lungo la sua ripida salita crescevano rigogliosi castagni che erano la gioia di noi passanti in quanto ci permettevano un raccolto generoso tale da riempire  le nostre "curbeli" (cestini ).
Per accedere a tale sentiero occorreva entrare in Canuggioni, percorrere la strada che fiancheggiava la Valansciona, passare dietro le ultime case  dei Giromini, attraversare un breve tratto di prato e poi immergersi nella verde frescura del bosco affrontando il non facile erto sentiero  per poi approdare al pianoro dove sorgevano le prime vigne.
Ho ripercorso questo sentiero, in senso inverso, l'inverno del 2008, con Eugenio. Dopo una buona nevicata, volevamo, con una gioia tutta infantile, imprimere le orme dei nostri scarponi per primi sulla coltre immacolata che era scesa ad ammantare le nostre miserie umane.


Eravamo saliti dal punt'ad tola su per il sentiero che porta alla "Rusa", faticando poi non poco per trovare l'accesso alla strada dei Nivei e della Mujota, passando in mezzo a quelle che erano state le vigne di un tempo, sprofondando parecchie volte in buche impreviste ed imprevedibili, ed infine ritrovare la parvenza di un sentiero. Ci siamo pure sorpresi piacevolmente nel vedere le numerose orme lasciate dai caprioli, sperando di poter fare un incontro ravvicinato con qualcuno di loro. Dopo un tratto pianeggiante, siamo arrivati all'imbocco del sentiero che porta verso la valle del Sizzone, quasi riconoscendolo essendo ancora ben impresso nelle nostre memorie, per poi percorrerlo in discesa, con le dovute cautele. Al termine del pendio più ripido. uscendo dal bosco, siamo arrivati al prato, ultimo tratto prima di entrare in Canuggioni. Con nostro estremo disappunto abbiamo constatato che in prossimità delle prime case il passaggio non era più possibile in quanto una recinzione di rete metallica ne bloccava l'accesso. Alla nostra destra il groviglio dei rovi e le sterpaglie ci impedivano l'aggiramento attraverso il bosco ed abbiamo perciò dovuto arrangiarci strisciando contro la raminata da una parte ed i rovi dall'altra per sbucare finalmente sulla strada a ridosso della Valansciona.
(Nella foto qui sotto, ripresa dalla riva del Sizzone per gentile concessione di Achille Grisoni, guardando ad ovest, si vede sullo sfondo la ripa che porta alla Mujota ed ai Nivei, ed in primo piano il prato che collegava il sentiero con Canuggioni, poco appena alla sinistra.Tra l'altro tale tratto di prato fu percorso in un'edizione della Camminata dell'amicizia negli anni ottanta del secolo scorso...).


Ritorno alla descrizione della camminata con Silvio e Floriano. Abbiamo iniziato ad affrontare la via di accesso alla zona dei Nivej , mantenendo alla nostra destra il declivio della ex "Vigna'd la Giesa". Il sentiero assume una buona pendenza (vedere il grafico altimetrico...) mentre si infittisce il sottobosco e pian piano sparisce dai nostri piedi. Silvio , quando siamo giunti alla parte terminale dell'erta, ha cominciato a  guardarsi intorno, quasi spaesato, di fronte al nuovo aspetto assunto dal suo vigneto. Era alla ricerca del Castagno del Luigino, mitica pianta che nella sua gioventù, ma ancora fino a una decina d'anni fa, era talmente generosa e fruttifera da donare a chi si avventurava nel fosso del Creus un raccolto abbondante di castagne tale da riempire una "curbela". Ma non lo ha trovato... E neanche il ponticello che univa il territorio dei Nivej. Come si può notare dalla traccia rossa rilevata dal GPS sulla mappa di inizio post eravamo arrivati vicini al luogo che Silvio aveva in mente, ma la fittissima vegetazione ci aveva impedito di proseguire verso Nord .  Giocoforza abbiamo dovuto trovare un passaggio verso est, giungendo così in zona "Manghineli".



Ed ora aggiungo una "chicca" grazie alla concessione di Piergiorgio Bertona (il ragazzino con la camicia scura nella foto  qui sotto), cugino di Silvio. Due fotografie datate 1953, che ritraggono parte della famiglia di Silvio e della famiglia di Piergiorgio.  La prima è
stata scattata al bivio della "Stonga" con la strada per il "Muntaut", mentre si avvicinavano alla vigne di loro proprietà, col padre di Silvio in bella evidenza alla conduzione del "baroz" trainato dalla "Biunda" e dalla "Mora" le mucche di loro proprietà. La seconda ,con tutti i vendemmiatori, in zona "Nivei".



 Bellissime testimonianze di un mondo rurale che stava quasi per scomparire, a causa dell'avvento del mondo industriale. Nel ricordo di coloro che oggi sono settantenni, i mitici anni cinquanta assumono le sembianze sfumate e quasi fiabesche di un periodo innocente e spensierato, dopo i tragici periodi della guerra. Le umili e spartane condizioni di vita favorivano la coesione dei nuclei familiari e il sentimento di appartenenza ad una sfera affettiva che ti proteggeva e coccolava . Le esternazioni verso il mondo degli altri erano vissute, nelle grandi occasioni quali la vendemmia, come una gioiosa sorta di festa popolana che accomunava fatiche, usanze, relazioni, e momenti di felice coesistenza. Tra i filari durante il raccolto si innalzavano i cori che le donne solevano intonare con le canzoni popolari del tempo. E, come un'onda  di echi più o meno lontani, si intrecciavano le risposte canore provenienti dai vigneti viciniori. E si diffondeva nell'aria un sentimento di gioviale serenità e di sincero ringraziamento per il dono della vita ed i frutti di madre natura. E gli uomini potevano finalmente felicitarsi per il lavoro portato a termine dopo le fatiche di un anno intero, in attesa poi di assaporare il risultato finale da un buon bicchiere di vino da pasto.



Dopo aver gironzolato per la vigna di "Manghineli"del Piergiorgio, commentandone il recente abbandono della coltivazione, dopo un periodo di riattivazione da parte sua, ci siamo soffermati presso i "resti" di un accessorio atto a facilitare alcune operazioni della coltura della vite. Vicino ad un tubo in cemento di raccolta delle acque, alcuni paletti in legno conficcati in terra,ormai quasi marciti, ed  i residui di un asse, dimostrano come ci si era ingegnati per facilitare la spallatura della macchina per "bagnè" la vigna, dopo averla riempita con la miscela di verderame. E' Silvio, grande testimone mnemonico dei luoghi della nostra escursione, a farcelo notare.( Lo si vede bene nel filmato)
 Indi proseguiamo alla ricerca di un passaggio verso nord dato che sentieri o strade sono ormai inglobate dalle sterpaglie e dalle piante diventate padrone del terreno. Ci stiamo dirigendo verso la "Rusa".
Ed ora voglio aprire una lunga parentesi, anche se non esaustiva, che tratterà delle modalità di accesso a questa zona vinicola partendo da Vergano. Non potrò essere sicuro al cento per cento di quanto andrò a scrivere, ma confido nella benevolenza dei miei due lettori che, magari potrebbero correggermi e aggiungere altre notizie.
 Ho bazzicato in un paio di occasioni negli archivi comunali di Borgomanero. Come già descritto in un altro post, ero alla ricerca di notizie riguardanti il toponimo Baraggioni (o Baraggione?) e nello sfogliare i capitolati dei faldoni mi sono imbattuto in alcune documentazioni riguardanti Vergano che, come è noto, è stato comune autonomo fino al 1928 e quindi dotato di un proprio archivio che, con la riunificazione successiva è stato inglobato con quello di Borgomanero. Mi ha colpito il fascicolo che , corredato da un disegno enorme che illustrava l'attuazione del progetto in essere, trattava della "Riattazione della strada consortile denominata della Rosa". Mi sono fatto fotocopiare il tutto dalla solerte impiegata addetta all'archivio, anche se con qualche difficoltà per la gigantesca mappa.
Posso già qui elucubrare sul toponimo "Rosa" che è giunto ai nostri giorni come "Rusa". E' facile constatare come la vocale o di Rosa (inequivocabilmente o: comparatela con la o di consortile...) scritta con quella leggera apertura nella parte superiore della stessa, fosse foriera di possibili errori di lettura. Infatti col passare degli anni ha preso piede nella tradizione orale il termine "Rusa", tra l'altro  rusticamente più consono ai luoghi difficilmente raggiungibili  e dai sentieri poco accessibili piuttosto che Rosa, più delicato e adatto forse a regioni più romantiche...
Ma qual'era questa strada consortile? Allego una riproduzione parziale della mappa, facente parte del progetto del 1870, che ho potuto giuntare con non poca facilità.
Si riesce ad intravedere all'estrema sinistra, in basso, l'esistenza della pedana in legno (quella linea nera che attraversa il Sizzone, il cui senso di scorrimento verso sud è evidenziato da una freccia), non ancora Punt'd'tola (verrà costruito nel 1892). Appena oltre il torrente, dopo aver guadato, nel punto in cui l'acqua era più bassa, si svoltava subito a destra e i carriaggi si inerpicavano su quel percorso irregolare, ma abbastanza ampio, che portava fino alla sommità della collina là dove sorgevano i primi vigneti. Non posso affermare con certezza che veramente i baroz trainati dalle pur poderose mucche di allora salissero quel pendio anche perché, osservandolo con le condizioni degradate odierne, risulta veramente ostico, aspro e quasi impossibile da affrontare. E' presumibile che allora fosse più curato.
Però....
In data 15 agosto 1858, dagli atti della comunità di Vergano, si evince che si era costituito un consorzio tra gli utenti delle strade della Varzaigha, Montalto e Levelli  per garantirne la efficienza e manutenzione, ma non è specificata se la via di accesso  fosse la Cumiona o la Rosa.



 Sta di fatto, comunque, che quando nella primavera del 1870 viene deliberato di affidare al geometra Vercellotti lo studio (sopra menzionato) per la riattivazione della strada della Rosa, si fa riferimento alla vecchia via di accesso che abbiamo ricordato. E' quindi presumibile che veramente i vignaioli Verganesi transitassero dalla valle del Sizzone, verso San Rocco, per accedere all'altipiano della Cumiona, piuttosto che da Canuggioni. Sicuramente quelli che raggiungevano le vigne a piedi passavano da là.
Il progetto, descritto minuziosamente in ogni sua componente (dalla quantità di ghiaia e dal suo spessore, al numero dei paracarri, dai tombini per lo scolo delle acque prative alla descrizione dei tavolati per il guado, dalle opere di sbancamento e livellamento alla cura dei fossi laterali , etc.) avrebbe richiesto un esborso di L. 3.337,40 per il completamento dell'opera e di L. 658,17  per i rimborsi di espropri, mentre il compenso al geometra fu di L.258,15 (saldato nel 1874).




L'opera prevedeva, come si può evidenziare dal disegno più sopra riportato, di proseguire a sud, dopo aver attraversato il guado del Sizzone, sfruttando quel pianoro che in futuro diventerà il luogo della colonia solare Verganese di prima della seconda guerra mondiale http://alsciscion.blogspot.it/2010/03/colonia-solare-di-vergano.html e poi successivamente lo stadio "Beniamino" (dal nome del proprietario benefattore) dove negli anni sessanta del secolo scorso disputammo le Olimpiadi ed infiniti scontri calcistici.


Giunti più o meno nella zona dove sorge ora il Cimitero, la strada avrebbe svoltato decisamente , con un tornante, verso Nord iniziando a salire la riva che Silvio ha chiamato delle "Selvi" (il bosco che si vede sullo sfondo alle spalle dei ragazzini). Questo proseguimento a sud avrebbe permesso, allungando il tragitto, di attenuare la pendenza della salita verso la sommità della collina in modo da bypassare il vecchio percorso, che era veramente ostico in avvio, fino a ricongiungersi verso la sommità là dove la strada originaria ammorbidiva leggermente (ma avrebbe dovuto comunque essere rilivellata per renderla più uniforme). Questa nuova via avrebbe dovuto essere larga 5 metri, ma fu ridotta a 4 dopo il vaglio della commissione prefettizia .

A corredo informativo del progetto, venne allegato l'elenco degli utenti della strada denominata della "Rosa". Ben dodici fogli con nomi e cognomi dei proprietari delle vigne, o dei boschi, con individuati il luogo e l'estensione dei loro appezzamenti.
Interessante notare come i toponimi dei luoghi citati fossero in minor numero rispetto a  quelli che oggi vengono ricordati introdotti, forse, dalle generazioni successive a quella di allora. Roccoli, Boscaioli, Livelli, Varzaighe, Vallansciana, Mojetta, Montalto, Ronchetti ed i prati Sizzone, Vignola, Ortani (?), Pracomune(?).
Ben 277 appezzamenti! Come ben visibili nella loro suddivisione, anche se non completamente a nord ed ovest, dalla mappa del catasto Rabbini.




L'opera non fu neppure iniziata.......
 Nonostante il tentativo di coinvolgere la provincia e la prefettura, non si ottenne nessun risultato. Anzi la risposta del prefetto fu, in sintesi, tradotta da me : arrangiatevi, siete un consorzio e come tale investite i vostri soci delle loro responsabilità ed affrontate le spese a carico vostro... e del comune. Noi come prefettura vi suggeriamo solamente, dal punto di vista ambientale, di restringere la carreggiata a 4 metri anziché 5. In effetti la risposta dell'ingegnere capo dell'Ufficio governativo lavori pubblici per la provincia di Novara, era più articolata e sottolineava pure che la suddetta strada non rientrava nè nell'elenco delle strade comunali né in quello delle vicinali...(solamente la via San Rocco rientrava tra quelle registrate il primo luglio 1867...) . E faceva rimarcare che, al momento in cui fu redatto il progetto di riattazione, il perito aveva espresso il duro giudizio che da anni la così detta strada della Rusa versava in pessime condizioni ed era intransitabile...
Ma lascio alla vostra curiosità e pazienza l'interpretazione dei documenti originali provenienti dalla Provincia. Ingranditeli e decifrateli.... Io l'ho fatto... Con un po' di fatica, ma alla fine si riesce a leggere il tutto!
Altrimenti fidatevi del mio amaro sunto!!!





Vi lascio immaginare le difficoltà nel cercare di portare avanti il progetto di tale opera e la delusione che si deve essere impadronita dei promotori. D'altra parte il piccolo comune di Vergano non aveva sicuramente le risorse per affrontarne tali spese ed i soci del consorzio sicuramente si aspettavano delle contribuzioni da parte degli enti statali. Purtroppo, visto che dovevano contare solamente sulle proprie risorse, nonostante il numero impressionante di interessati al compimento dell'opera, dovettero abbandonare i buoni propositi. Si sa che quando c'è da mettere d'accordo così tante teste, non sempre si riescono a trovare soluzioni condivise.
Il sogno della Strada della "ROSA"  svanì miseramente e non fu mai più riesumato.
Tempi difficili aspettavano i viticoltori....
 Nel 1887 fece la sua comparsa la peronospora  ed il suo impatto con il raccolto delle uve fu disastroso. Probabilmente in tanti dovettero abbandonare la coltivazione, in attesa che la scienza fornisse le prime controindicazioni al nuovo fenomeno mortale per i vitigni e prendesse piede il metodo di cura.
 Così diventò preponderante il lavoro di ripristino dei vigneti malati e la strada della Rusa cadde nel dimenticatoio.

Mi vedo costretto a terminare questa prima parte del post, in quanto mi rendo conto di essermi dilungato assai ed aver reso la lettura dello stesso abbastanza pesante.
Spero che mi abbiate seguito fin qui e vi do appuntamento per il prossimo lasciandovi in compagnia di Floriano e Silvio con il proseguimento del filmato. 

  



Correggetemi, se ho sbagliato... e commentate!

lunedì 23 aprile 2012

SECONDA OLIMPIADE VERGANESE 1961 prima parte






Riprendo, dopo un periodo esageratamente lungo, a scrivere sul blog. Mi era passata la voglia di postare o meglio di organizzare il flusso dei miei ricordi per condividerli, in quanto mi richiedeva uno sforzo mentale che ritenevo di avere smarrito. A farmi ritornare un bagliore di volontà, è bastato l'incontro con un amico di gioventù, Adriano che avevo perso di vista da troppo tempo, col quale ci siamo scambiati sensazioni e ricordi di quando eravamo ragazzi.
Ad accompagnarci in questa rievocazione giovanile questa volta ho scelto il gruppo  folk-rock britannico dei Fairport Convention (tardi anni sessanta) con al canto la struggente e melodiosa Sandy Denny, prematuramente scomparsa dopo essere entrata in coma due giorni dopo una caduta dalle scale di casa e non essersi mai più ripresa. La canzone , Who knows where the times goes, (Chi sa dove va il tempo?) l'ho scelta proprio per il suo riferimento nostalgico e misterioso agli anni che volano via e che chissà dove vanno a finire. Io qui cerco di fermarli e ricordarli per dar loro un luogo di approdo.

Grazie al grandioso lavoro di Ginca nel documentare con la "pubblicazione" del suo "Lo Sportivo" gli avvenimenti che caratterizzavano la maggior parte del tempo delle nostre favolose estati vacanzaiole libere e spensierate, posso oggi, a distanza di cinquant'anni (!), rileggere le "imprese" atletiche che ci videro protagonisti e quasi riviverle, talmente erano circonstanziati i reportages.
Dopo la prima edizione del 1960 che vide solamente tre concorrenti parteciparvi, come ricordato nel post  olimpiadi-verganesi-1960. , in questa seconda Olimpiade, "addirittura" otto atleti diedero il meglio di loro stessi per ben figurare nelle varie competizioni.
Suddivisi in quattro coppie rappresentanti quattro nazioni diverse, inizialmente vennero così raggruppati.

ITALIA . Renato V. e Giancarlo

Lo scattista migliore sulla breve distanza (io...) ed il massimo esponente delle gare che richiedevano l'uso della tecnica e degli attrezzi (salti e lanci). Notate lo scudetto, appiccicato alle camicie per l'occasione dello scatto fotografico; restava in posizione, dopo generosa manata sul petto per farlo aderire. Appena mossici, si staccava, ma intanto la sua funzione l'aveva svolta... Dava un tocco di ufficialità alla formazione...

INGHILTERRA : Ezio G.ed Eugenio
Poteva contare sul campione in assoluto, Eugenio, di quasi tutte le discipline di corsa. Notate, anche qui, lo scudetto . Sembra diverso dal precedente. In effetti è lo stesso, rivoltato.... ed appicicato alle camicie, dopo averlo espropriato dai precedenti possessori, per la fotografia di rito. Credo fosse di colore azzurro e blu scuro. Possedevamo solo quei due esemplari, amabilmente ritagliati e cuciti da Ginca...!  

FRANCIA: Eraldo e Luciano
 Decisamente la più debole accoppiata. Eraldo era una giovanissima promessa che aveva già dimostrato il suo valore mentre Luciano era alla sua prima esperienza atletica e doveva ancora prendere confidenza col mondo sportivo. Notate come sul petto dei due giovanissimi non appaia il famigerato scudetto... In effetti, dopo aver invertito l'originale, nelle prime due formazioni, non lo si poteva più manomettere in altro modo per farlo apparire diverso nella foto ufficiale!

GERMANIA : Renato G. ed Elio
Il più giovane del gruppo (classe 1952) ma dotato di una grinta e determinazione tali da renderlo già competitivo, accoppiato al funambolo calcistico di Vergano, disciplina nella quale era l'indiscusso primattore; in campo atletico eccelleva nel salto in alto. Notate anche qui la mancanza di scudetto sulle maglie. La ragione è sempre la stessa, esposta appena sopra...

A sconfessare quanto ho appena postato con le immagini riguardo gli accoppiamenti delle formazioni, ho riletto la pagina dello sportivo n. 4 dell'annata 1961. Furono stabiliti per sorteggio la settimana prima dell'inizio delle gare. Naturalmente presumo che si fosse usato il principio delle teste di serie mediante il quale in un'urna vennero posti i nominativi dei più forti (ed anche più anziani, per la verità...) Giancarlo, Eugenio, Elio e Renato V. e nell'altra quelli dei ragazzini .  Il risultato fu quello che potete leggere nella pagina sotto riportata. Resta il mistero delle immagini scattate come foto "ufficiali" delle formazioni che in effetti non corrispondomo ai reali abbinamenti.
Interessante segnalare come siano state abolite due competizioni rispetto all'edizione precedente. Il ciclismo, gara di sprint e gara sul chilometro lanciato, che si erano disputati l'anno prima sul tratto di strada che da Boca porta al Santuario. Per ragioni di sicurezza furono annullate e ciò dimostra l'alto senso di responsabilità dimostrato dal Ginca onde preservare gli atleti da eventuali incidenti che, per l'agone insito nelle gare, sarebbero potuti scaturire percorrendo una strada che, seppur poco frequentata nei giorni feriali, presentava sempre l'incognita di eventuali intoppi con i mezzi che avrebbero potuto transitarvi.
L'altra gara abolita fu quella del tiro a segno. Curiosa la motivazione: mancanza di elementi utili... In effetti non è che durante l'anno ci divertissimo a tirare sassi contro un bersaglio... Ed i nuovi atleti non  conoscevano neanche l'esistenza di questa specialità.
Altra annotazione da fare riguarda le piste dove si svolsero le gare di corsa. Nella pagina di presentazione sopra riportata si nominano tre luoghi adibiti a scenario delle competizioni. Mentre per quanto riguarda lo stadio Arena  ed il Fuorigrotta posso affermare che furono utilizzati solo per quell'occasione e mai più presi in considerazione in futuro, lo stadio Flaminio fu ribattezzato stadio Olimpico non appena gli atleti vi misero piede. Fu conosciuto all'epoca anche come stadio Beniamino in onore al proprietario che ci concesse la sua utilizzazione. Caduto in disuso nei primi anni dopo la guerra, non era altro che la locazione dove aveva visto la luce la colonia solare di Vergano, ricordata in un mio precedente post colonia-solare-di-vergano. Prima di gareggiarvi, provvedemmo alla sua ripulita, tagliando piccoli fuscelli ricresciutivi e sterpaglie e provvedemmo anche a scavare la buca dove riportammo della sabbia del Sciscion da utilizzare per il salto in lungo e triplo. Oggi, versa in condizioni disastrose. E' ormai invaso da arbusti di ogni genere e non si distingue più il prato dove abbiamo disputato innumerevoli incontri di calcio. Esiste solamente un tracciato da bicicross dove si divertono ancora, forse, alcuni giovani a scorazzare con le moto. E pensare che questo percorso è nato  a metà anni sessanta grazie alle mie prime scorribande con un motorino,avendo cura di tracciarlo ai bordi del campetto di calcio e verso la riva del torrente. Ecco come si presenta oggi. (Bisogna rimarcare anche che non esiste  più il "punt'd tola" che permetteva allora l'accesso al campo).



Lunedì 3 luglio 1961, inizio della Seconda Olimpiade Verganese, appuntamento alla "ssciusa", luogo dove d'estate eravamo abituati a fare il bagno, grazie alla profondità dell'acqua ed alle dimensioni della lanca. Ai bordi del Sciscion correva uno stretto sentiero, tra due filari di alberi. Il suo fondo battuto e regolare, senza nessuna gibbosità, morbido grazie al tipo di terreno, lo rendeva ideale per una pista di corsa veloce. La partenza avveniva subito dopo una leggera curvatura che immetteva in un'area aperta prativa. Il rettilineo che ne seguiva, lungo esattamente 50 metri, terminava appena prima dello spiazzo dove usualmente usavamo prendere il sole e dal quale prendevamo le rincorse per lanciarci nell'acqua della lanca. Ideale quindi per avere lo spazio necessario per l'arresto dalla corsa proprio prima del solco della "ruja" che aveva origine dalla "ssciusa". Un grandioso albero al termine del sentiero ci era di aiuto per definirne la virtuale fettuccia del traguardo.
Questo scenario di gara venne "battezzato" dal cronista Ginca come Stadio Arena... Vi si disputarono, oltre ai 50 metri piani, anche le gare degli 80 e 100 metri sfruttando il proseguimento del sentiero, oltre la piccola curvatura, nel prato aperto. Non ho immagini dell'epoca, mentre, purtroppo, da una recente fotografia, scattata dal punto di arrivo, possiamo dedurre quanto sia degradato il luogo e quanto fascino ed estetica si siano perse e rimangano custodite solo nei ricordi della nostra infanzia . Ed anche il grandioso albero è stato abbattuto.


Riporto le pagine dello Sportivo che raccontano di questa giornata. La prima parte l'ho già inserita all'inizio.

Da questo resoconto possiamo constatare la supremazia di Eugenio nelle corse veloci. La gara di salto in lungo, programmata subito dopo , fu rimandata al giorno successivo per mancanza di tempo utile. Occorre a tal proposito rimarcare che le gare di corsa erano disputate in singolo. Ogni concorrente aveva una partenza propria e gareggiava da solo contro il cronometro di Ginca. Tutto ciò comportava dei tempi di esecuzione molto lunghi, con la presenza di otto partecipanti. Conseguentemente si sforò rispetto alle previsioni.
Il giorno seguente, martedì 4 luglio, ci demmo appuntamento di buon mattino allo "Stadio Fuorigrotta", nelle vicinanze dello "Stadio Olimpico", subito a nord rispetto al "punt'd tola", per disputare le staffette e la gara dei 200 metri in quanto lo stadio era predisposto esclusivamente per questo tipo di competizioni e fu reso agibile solo per la disputa della Seconda Olimpiade e poi mai più utilizzato. Potenza dell'immaginazione e della beata innocenza e fantasia di noi giovanissimi agli inizi degli anni sessanta, prima che la massificazione delle notizie e delle immagini entrate nelle case di tutti con la televisione negli anni a venire producessero l'effetto quasi catalettico di un assopimento delle iniziative generate in proprio. Chiamare stadio una grande distesa prativa che fiancheggiava il Sciscion e permetteva di disegnarvi immaginariamente delle piste di atletica era un bellissimo esempio di come riuscivamo a ridurre alla nostra realtà eventi e mondi lontani che ci eravamo prefigurati esclusivamente da qualche lettura o da qualche foto recuperate dai giornali. Ricavammo la pista per le corse sul sentiero erboso che costeggiava gli arbusti della riva del Sciscion che, pur snodandosi non perfettamente rettilinea, ci dava la possibilità di coprire la distanza di almeno 200 metri, necessari per la disputa delle staffette veloci. Anche per questo "stadio" allego una foto recente che cerca di dare un'idea del luogo dove gareggiammo. Occorre notare che la sterpaglia ha piano piano recuperato nei confronti del prato allontanando di conseguenza il sentiero dalla riva del torrente.

Giornata stracolma di gare. Certamente la più entusiasmante; dedicata completamente allo svolgimento delle discipline forse più entusiasmanti tanto da portare alla decisione dell'organizzatore di alleviare gli impegni del giorno successivo e far effettuare solo tre prove.
Iniziammo con la disputa dei 200 metri piani dominati da Eugenio, per poi passare alle varie staffette. Il testimone, un bastoncino di legno ricavato da un ramo di nocciolo, fu causa di inevitabili inceppamenti durante il cambio e forse ciò condizionò i risultati. In effetti la sorpresa arrivò nella 2x50. A vincere fu l'Italia ( i due Renato) che, pur avendo col più giovane atleta partecipante (9 anni !) una notevole inferiorità, riuscì a strabiliare con un cambio eccellente, mentre Elio ed Eraldo, potenzialmente superiori come coppia non ebbero un felice passaggio del testimone.
A loro perenne ricordo di tale malefatta, fu dedicata uno scatto fotografico, realizzato in un momento di pausa allo stadio Olimpico, con una posa statica di un "perfetto passaggio di testimone"(???) (le riprese in movimento risultavano completamente sfocate). Certamente il modo di trasmettersi il bastoncino non era dei più ortodossi... Ma tant'è... Quella "rappresentazione" era forse più rivolta ai "posteri" (notare Elio come ammicchi verso l'obiettivo...) che ad illustrare un'effettiva situazione reale di gara!
La documentazione dello Sportivo ci ricorda la successione degli avvenimenti di quel giorno. Dopo la staffetta 2x100 vinta da Eugenio ed Ezio G. ci trasferimmo allo stadio Olimpico per effettuare la gara di salto in lungo che vide dominare lo specialista in tale disciplina, Giancarlo; grazie allo studio ed alla messa in pratica della tecnica appropriata per una giusta rincorsa, uno stacco imperioso ma soprattutto un movimento in volo che gli permetteva di slanciare le gambe verso la fase di atterraggio (tecnica che cercò di trasmettere a tutti gli atleti che erano volenterosi di migliorarsi, ma a volte i consigli non erano ben assimilati...) riuscì a sbaragliare il campo con dei balzi oltre i 4 metri.


La competizione degli 800 metri vide all'opera due atleti in contemporanea, per la prima volta, abbinati in base alla data di nascita, a partire dai più giovani, per finire con la coppia "terribile", come era chiamata dal cronista dell'epoca, Eugenio e Giancarlo. Per coprire la distanza degli 800 metri occorreva compiere 5 giri dello stadio la cui lunghezza era di 50 metri. Sicuramente i tempi rimasero influenzati dagli abbinamenti. La coppia Renato G. e Luciano la presero allegramente senza un minimo di agone, mentre già Renato ed Elio diedero vita ad una bella gara che vide prevalere Elio, molto più adatto alle medie distanze grazie anche alle sue lunghe leve, ed infine Giancarlo, fondista eccelso, diede filo da torcere ad Eugenio che riuscì a vincere solamente grazie al suo prodigioso sprint finale.
Incredibile, per la sorta di attrezzo in dotazione..., la gara del disco. Già... disputammo anche le gare di lanci! Disco, peso, martello (!), giavellotto... con attrezzatura artigianale ricavata con i più disparati materiali messi insieme dal fantasioso Ginca! Il disco, ad esempio, constava di una serie di ritagli di legno compensato, arrotondati e sovrapposti con incollaggio fino ad ottenere uno spessore congruo per una impugnatura manuale. Il tutto era poi stato arrotondato, modellato e levigato con una lima in modo da ottenere una circonferenza liscia ed un rigonfiamento verso la parte centrale  così come si poteva osservare negli attrezzi realmente utilizzati in atletica. La modalità di lancio era poi desunta dai disegni illustrati sul giornaletto del CSI, che avevo già citato nel precedente post, recuperato da Ginca in quel di Novara. Chi era più bravo a coordinare il moto rotatorio di mezzo giro (così lo avevamo ridotto a nostro uso) con il movimento di carica di potenza del braccio e relativo rilascio per la fase di lancio contemporaneo all'arresto brusco della rotazione, otteneva dei buoni risultati. Io ero riuscito a trovare una buona simbiosi con l'attrezzo; me lo sentivo saldo tra le dita e riuscivo pure a ottenere una bellissima coordinazione tra la mezza giravolta e l'estensione del braccio con conseguente rilascio del disco per sprigionare tutta la forza che avevo accumulato. A questo riuscivo ad aggiungere una quasi perfetta angolazione tra la parte piana del  disco ed il terreno in modo tale da ottenere un'eccellente parabola di lancio . Infatti vinsi la medaglia d'oro... 
Continuammo con i 400 metri piani, o quasi...  Il quasi è riferito al fatto che, occorrendo due giri e mezzo dello stadio per completare la distanza, si doveva vincere per due volte un leggero dislivello nella curva nord, poichè il campo non era perfettamente livellato. Se si vanno a rivedere alcune fotografie del post relativo alla colonia solare di Vergano , si possono meglio apprezzare queste imperfezioni. Sta di fatto che, comunque, all'inizio dell'ultimo giro, il superamento di questa leggera difficoltà era l'inizio di un cambio passo repentino. Fino a quel punto si erano mantenute delle forze , da lì in avanti esplodeva lo sprint finale fino al traguardo. Per lo meno a me dava quello stimolo. L'importante però per ottenere dei tempi migliori era l'andatura che si riusciva ad impostare nei primi 250 metri. La bellezza di questa gara era proprio nel tentativo, ogni volta che ci si cimentava, di aumentare sempre più la velocità in questo tratto per poter capire fino a che limite ci potevamo spingere onde mantenere ancore le forze per il rush finale senza cedimenti. Maestro in questa disciplina fu Eugenio. Le sue prestazioni miglioreranno sempre più nelle competizioni a venire fino ad ottenere  dei tempi strabilianti, per noi, al di sotto del minuto.
A seguire la prova del salto triplo, ultima gara dell'intensissima giornata. Disciplina completamente sconosciuta ai più. Anche in questo caso Ginca si prodigò per insegnarci la tecnica, con non poca difficoltà di apprendimento da parte dei più. Infatti sembrava a noi innaturale spiccare il primo salto ed atterrare con lo stesso piede di battuta per poi fare il secondo balzo con l'altra gamba e poi atterrare al terzo nella buca della sabbia. Pian piano riuscimmo a coordinarci, ma in gara qualcuno dei più giovani trovava ancora ostica questa tecnica. Come al solito, quando si trattava di applicare la tecnica ad una specialità, Giancarlo era l'indiscusso maestro. (Tra l'altro nelle sue uscite anche solitarie di allenamento era solito  migliorarsi sempre più nei risultati poichè questa era una disciplina che gli permetteva di misurarsi da solo le prestazioni). La sua vittoria  fu scontata mentre Elio, grazie alle sue generose leve, si classificò brillantemente secondo. 


Al prossimo post  per continuare la narrazione di quella settimana vissuta selvaggiamente liberi, grazie anche ai nostri genitori che non ci imponevano nessuna restrizione e ci lasciavano scorrazzare felici lungo le rive del beneamato Sciscion.

martedì 13 settembre 2011

LA MEGLIO GIOVENTU' a Vergano

Ecco gli animatori del centro giovanile di Vergano. Nelle foto sottoriportate risalenti al carnevale 2011 sono raffigurati otto dei dieci membri del gruppo. Mancano Carlo Atzeni (Ka) e Barbara Vercelli (Barby).
I rudi cowboy. Da sinistra Roberto Poletti ( Roby), Diego Bertona (Dado), Alessio Balzano (Balza), Luca Zanetti (Luchino). 
...e le dolci Cowgirl. Da sinistra Sarah Trovatelli (Saretta), Sabrina Langhi (Sabry), Marta Barbaglia (Tol), Rebecca Fornara (Beba).
  Come promesso nel mio precedente post, ritorno a scrivere qualcosa in più riguardante il gruppo di ragazzi che, legati da un vincolo prezioso di amicizia, si divertono assieme e nel contempo animano con giochi e spettacoli la vita del nostro piccolo paesello intrattenendosi con i bambini delle elementari regalando loro attimi di sano divertimento e socializzazione. Approfittando della giornata conclusiva della settimana di animazione che hanno terminato venerdì 9 settembre, mi sono recato presso il centro giovanile che è stanziato nella vecchia Chiesa, già sede del Circolo ACLI, dove hanno trascorso in allegria questi cinque giorni, aggregando i bambini nelle più svariate attività sia ludiche che costruttive. Ho così improvvisato una ripresa con la telecamera invogliandoli a presentarsi per illustrare e raccontare ciò che il loro gruppo fa. Ho estrapolato dal filmato un sunto di sette minuti che ho pure pubblicato su Youtube. Ed è quello sottoriportato. Godetevi la loro contagiosa allegria.   .

Sono particolarmente contento di poter pubblicare un breve scritto di presentazione che Diego ha avuto la bontà di fornirmi su un foglietto. Questa cosa mi fa ricordare i mitici tempi dei primi anni settanta quando un altro gruppo di allora, il Gruppo Zero, per animare la vita del paesello si era dotato anche di un giornale ciclostilato nel quale affluivano racconti e impressioni che il sottoscritto riordinava e correggeva per poi battere a macchina il testo sulla matrice (Un lavoro improbo... che vi spiegherò in un successivo post quando illusterò la breve ma intensa storia del Gruppo Zero). A tal proposito inserisco un paio di fotografie (le uniche, forse..., risalenti al periodo, fornitemi da Zanetti Carlo) ricavate con una Polaroid, la famosa macchina fotografica che sviluppava istantaneamente le immagini, con raffigurati alcuni componenti (mancano i più importanti: Floriano e Luciana e l'ispiratore Giancarlo) dietro il bancone del bar del circolo Acli allora gestito da Battista.





Ed ecco la mitica copertina del primo numero del giornaletto. Il disegnatore era il compianto Mario Duella. Ciclopico il lavoro di cesello sulla matrice originale per il ciclostile. Bisognava incidere con la punta di un pennino lo strato di cerata in modo da permettere all'inchiostro della macchina di spandersi all'interno della traccia e quindi imprimere i fogli di carta che scorrevano sotto il rullo alimentato da una manovella. Se si sbagliava ad incidere, o anche battere un carattere errato con la macchina da scrivere, occorreva turare la traccia incisa con uno speciale liquido denso che solidificava nel giro di pochi minuti  e permetteva poi di sovrascrivere o ridisegnarci sopra. Ma era un lavoraccio....



Ed ora trascrivo ciò che Diego ha ritenuto opportuno farci conoscere riguardo l'attività ed i propositi del Gruppo di animazione.

Da poco più di otto mesi, il Centro Giovanile di Vergano ha deciso, in collaborazione con un gruppo di dieci membri, tra ragazzi e ragazze,di rinnovarsi e di offrire di più alla comunità ed ai suoi abitanti, dai giovanissimi ai più "stagionati" con ormai qualche primavera alle spalle.
Così, a partire da qualche "pizzata" e giornata di animazione, si è deciso di creare qualcosa di più concreto e solido per il bello e spesso sottovalutato paese di Vergano.
Tra le nuove iniziative i giovani del centro stanno tenendo per i bambini, in queste ultime e miti giornate estive, un campo estivo dal 5 al 9 di settembre.
Tuttavia è necessario guardare al futuro. Si vuole infatti organizzare una serata, con tanto di spettacolo, per festeggiare il termine dell'anno di animazione (verso la metà di ottobre) che riprenderà con il carnevale e, perchè no, magari partecipare alla prossima festa dell'uva.
Comunque quello che i ragazzi sostengono è che il vero spirito di Vergano sta nei suoi abitanti. Spirito che negli ultimi anni è venuto un pò meno e che loro vogliono riaccendere per riportare Vergano allo splendore di un tempo.


Bravissimi ragazzi!
Continuate così e non demordete.



lunedì 23 maggio 2011

SPENSIERATEZZA


Pubblico , provvisoriamente, il clip delle riprese che ho effettuato il pomeriggio di sabato 21 maggio 2011 al campo giochi Ivan Cerutti di Baraggioni, sorto proprio nel luogo che mi ha visto crescere.
Provvisoriamente, perchè la mia intenzione è di ritornare a scrivere di questa splendida realtà giovanile che ha avuto il potere di farmi rivivere belle annate della mia fanciullezza.
Il gruppo di animatori e di catechesi della parrocchia di Vergano ha organizzato un pomeriggio spensierato ed allegro per i giovanissimi delle scuole elementari.
Giochi, schiamazzi e "sani" gavettoni in una giornata straordinariamente estiva.
Ad accompagnare il clip, gli U2 in Where the street are no name.
Come a dire, scorazzate liberi nel prato... non ci sono limiti e strade da percorrere. Solo erba da calpestare.....sulla quale correre per far esplodere la vostra gioia.

Ritornerò a parlare dei bravissimi animatori, poichè si sono rivelati talmente entusiasti e partecipi ai giochi dei ragazzini tanto da far loro dire che è stata una giornata veramente gratificante ed appagante anche per loro.

giovedì 21 aprile 2011

RADICI ed ALI


Ho parafrasato il titolo di un album ed una canzone dei Gang (Le radici e le ali) che ho molto apprezzato quando fu pubblicato nel 1991, per introdurre questo mio post che, pur raccontando di una camminata fatta con i Brothers, prenderà lo spunto per narrare anche un lembo di storia tragica del periodo partigiano.La foto di presentazione, scattata nel bosco nei pressi di Cavagliasche, ne raffigura il concetto in modo molto naif: le radici, sviluppatesi ed attorcigliatesi al tronco della pianta che le ha generate per lasciarle poi penzolare a mò di liane, danno la sensazione di potervicisi aggrappare per librarsi in aria. Le radici, ancorate al senso di appartenenza al territorio, alle tradizioni ed alla propria patria, e le ali, per poter spiccare il volo verso un futuro roseo e colmo di sogni e di speranze da avverare. Così si potevano sintetizzare le vite dei ventenni massacrati nell'imboscata di Cavagliasche del 18 marzo 1944.
Ed è proprio con una canzone nata dalla collaborazione, ai testi, di Massimo Bubola e, alla musica, di Marino Severini dei Gang, tratta dall'album Storie d'Italia, successivo a quello citato, che vi faccio accompagnare nella lettura del post. Si tratta di "Eurialo e Niso" una splendida e struggente ballata che il suono del violino rende ancora più commovente. E' la storia di due giovani partigiani trucidati dai nazisti che esalta, oltre allo spirito rivoluzionario anche l'altissimo valore che assume l'amicizia, pronta a tutto fino al supremo sacrificio della propria vita sublimata con la morte. Stupenda. Ascoltatela in religioso silenzio.A me riesce ancora a strappare qualche lacrima.


Ritorniamo dopo due settimane ancora a Chepoli e ripercorriamo la prima parte del tracciato che avevo descritto nel mio post precedente
http://alsciscion.blogspot.com/2011/04/sizzone.html.
L'obiettivo di oggi è quello di raggiungere Cavagliasche e poi, percorrendo la strada tagliafuoco del crinale verso il Misocco, ritornare al Molino Ciotino per completare l'anello.
Sabato 16-04-2011
Chepoli.Cavagliasche-Chepoli
8,1 km.
Partenza ore 14,03 Arrivo ore 17,03

Il desiderio di ritornare a calpestare un tratto del sentiero appena percorso quindici giorni fa, è nato dalla curiosità mossaci dal commento di Alessia riguardo alla sconosciuta "insalatona" fotografata , individuata da lei come possibile "Veratro". Così, nello scegliere la passeggiata odierna, abbiamo optato per la stessa zona. Con più attenzione abbiamo osservato i cespugli presenti e abbiamo constatato che, per tutto il sentiero che fiancheggia il Sizzone fino all'inizio della salita verso Cavagliasche, la presenza del Veratro è veramente massiccia. Notate come prolifera sulla sponda in una zona umida irrorata dal torrente... 
Che sia Veratro non abbiamo più dubbi, anche se bisognerebbe aspettare la sua fioritura, tra un paio di mesi per svelarne completamente la sua identità. Ma lo stelo seccato del gambo del precedente anno, ancora presente in mezzo alla nuova erborescenza, ci risolve l'enigma. Grazie anche al confronto con diverse immagini visualizzate in internet.

Mi piace far notare come nel giro di due settimane la natura ridestatasi al tepore della primavera abbia iniziato a tingersi di verde per la gioia dei nostri occhi. Pubblico due immagini, scattate quasi inconsapevolmente dallo stesso posto, che ne dimostrano il magico risveglio.


A ben osservare sono spariti i fiorellini gialli che chiazzavano il verde ai bordi del sentiero, dopo aver svolto il loro sconosciuto, ai nostri occhi, compito voluto dal Creatore. In compenso le foglie degli alberi stanno riacquistando la linfa vitale che ridà freschezza ed alimenta la nuova miracolosa rinascita del bosco che rinnova l'eterno ciclo delle stagioni.
Più avanti, sempre costeggiando il Sizzone (per inciso, abbiamo contato quante volta lo abbiamo guadato prima di risalire il pendio: dodici...!) spuntano però altri "omaggi" floreali ad ingentilire il percorso.Chiedo nuovamente ad Ale di trovare il giusto nome per queste due meraviglie del sottobosco, oltre a quel  bianco fiore isolato ripreso nella stessa foto assieme al Veratro, due immagini sopra..




E giungiamo, abbastanza speditamente, fino al punto in cui il sentiero offre la possibilità di risalire verso Sizzone seguendo il percorso della nostra ultima escursione. Debbo constatare che nessuna segnalazione cartellonistica, purtroppo, è presente qui, mentre ne troveremo diverse, più sopra nel bosco, in posizioni non necessariamente utili per confermare la rotta verso Cavagliasche. Invito Eugenio a fare con il Gps un Waypoint che ho successivamente riportato con un punto rosso sulla mappa come "bivio per Sizzone". Eccolo ripreso nel momento in cui lo sta effettuando.Svoltando a destra, si inizia a salire verso Sizzone.


Oggi noi continuiamo a costeggiare il torrente per un buon tratto ancora, guadandolo in altri due o tre punti, ed alfine giungiamo dove c'è la confluenza nel ramo principale, che possiamo tranquillamente chiamare come Sizzone di Castagnola, del Rio Palachina che raccoglie gli innumerevoli rivoli aventi origine dal pendio del monte Ovagone.

Abbandoniamo il torrente, dopo aver fatto un altro Waypoint denominato "confluenza Rio Palachina",  ed iniziamo la salita abbastanza impegnativa. Il primo tratto si inerpica per il costone di separazione tra i due rami del torrente. E' largo sì e no un paio di metri ed ha l'aria di essere in una situazione estremamente precaria. Le sue rive ripide sono lambite dalle acque torrentizie che inesorabilmente con la loro azione erosiva nei periodi di piena, prima o poi ne determineranno lo smottamento. Fortunatamente è solo un breve tragitto, ma la sua precarietà è evidente.

Questo è il tratto descritto. La foto non dà l'idea della situazione. Immaginate, però, che alla destra dove ci sono quei tronchi  inizia il declivio ripido e sotto una decina di metri scorre il Sizzone di Castagnola, mentre alla sinistra, oltre quei cespuglietti, è la stessa cosa verso il Rio Palachina. Oltre questo "imbuto" il pendio, pur mantenendo una bella pendenza, come si può anche evincere dal grafico di inizio post, si allarga e lascia spazio per lo sviluppo di un bel bosco a prevalenza di castagni.
Per far meglio comprendere la zona che stiamo percorrendo, allego anche l'immagine della mappa parziale del Parco del Fenera, con la segnalazione e numerazione in rosso dei sentieri, sulla quale ho riportato il nostro percorso odierno, in blu, con i relativi Waypoint. Inoltre allego la planimetria del Sizzone che abbraccia un territorio molto più vasto. L'ho elaborata evidenziando in blu l'incredibile ramificazione che alimenta il cuore verde del Parco. (sembra effettivamente a forma di cuore la zona circoscritta dal colore marrone che indica lo spartiacque dei crinali della Soliva, di Castagnola e del monte Ovagone) . A voi ingrandirla per perdervi lungo i mille rivoli che negli anni ottanta hanno corso il rischio di venire avvelenati dallo scellerato progetto di una discarica civile (???) nella zona di Chepoli. Grazie alla mobilitazione civile (questa volta il termine è più che giusto..!!) di tutta la popolazione della zona si è riusciti ad impedire questo disastro ecologico. Ricordiamo che la ditta che avrebbe dovuto effettuare i lavori e gestire la discarica ne trasferì l'ubicazione al Piano Rosa. Ed è ancora vivo il clamoroso scandalo che negli anni a venire la interessò quale inquinatrice determinandone il fallimento..
Ringraziamo il cielo che quel cuore così bene irrorato e alimentato pulsa tuttora vigorosamente.



E' bello seguire sulla carta i percorsi che il torrente disegna sul territorio. Possiamo individuare ed immaginarne col pensiero i luoghi che hanno visto le nostre scorribande da ragazzi.
Il Sizzone di Maggiora può suddividersi in due rami principali, anche se il più importante, il "Sizzone di Sinistra", a sua volta ha due affluenti dominanti. Il "Sizzone di Destra" (posizionato sulla cartina alla sinistra;. ricordiamo, anche se superfluo, che per determinare la destra e la sinistra di un corso d'acqua bisogna mettersi con le spalle  rivolte alla sorgente.) nasce a sud della cresta del monte Ovagone. Il suo percorso è caratterizzato da diverse "lanche", grandi vasche naturali abbastanza profonde, normalmente esistenti là dove un dislivello genera delle cascatelle. Le più famose sono la "lanca di Magheit" e la "Turlosa", luoghi che erano le località di balneazione delle nostre estati da adolescenti.
Il "Sizzone di Sinistra", più lungo, confluisce con quello di Destra in località "Pragiarolo" dove sorge il campo permanente di autocross. In località Molino Ciotino, si ha la biforcazione nel ramo del "Sizzone Castagnola" (alla destra fluviale, quello che abbiamo risalito oggi) e del "Sizzone del Fosso della Bertagnina", alla sinistra fluviale, che ha la sua origine oltre la dorsale della Soliva e che per il primo tratto scorre verso nord ritagliandosi poi la strada verso est in località Campiano per poi finalmente dirigersi a sud. 

Confluenza Sizzone di Castagnola con Sizzone del Fosso della Bertagnina in località Molino Ciotino

Spero di non avere annoiato nessuno con questa digressione descrittiva. Ma essendo troppo grande la mia passione per la geografia e per la cartografia (non ringrazierò mai abbastanza il mio prof. di lettere alle medie, Fasola di Maggiora, per avermela instillata con amorevole coinvolgimento) mi sono lasciato prendere la mano.
La salita verso Cavagliasche è abbastanza impegnativa per le mie condizioni, ma riesco bene o male a tenere il passo dei fratelli fino a metà tragitto. Ogni tanto mi soffermo, comunque, per rifiatare. In un tratto di breve spianata Arnaldo e Gian colgono i primi mughetti di stagione.

Quando più avanti il sentiero si inerpica duramente, perdo contatto con i brothers. Prendo il mio passo rallentato soffermandomi spesso per rilassarmi e godo di questa atmosfera solitaria e silente.


Solo qualche breve tratto di percorso permette di spaziare con lo sguardo oltre il bosco. Verso Nord-Ovest si può osservare, oltre le balze del torrente, la ripa scoscesa, chiamata Erta sulla mappa, che risale verso il culmine dello spartiacque oltre il quale c'è il versante che scende verso il fosso della Bertagnina ed i "Taragn" di Sorzano.

Verso Ovest, pur se impedita nella visuale dai rami, si intravede ancora molto distante, Castagnola. Il campanile della sua Chiesa è ben visibile in lontananza. E' adagiata al culmine della dorsale e , oltre a spaziare verso est sulla zona lacustre, presenta la sua faccia occidentale alla Valsesia.

Vedere così distante Castagnola mi impensierisce un pò, pensando a quanta strada dovrei ancora percorrere. Ma oggi la nostra meta non è lei, bensì Cavagliasche che nella mia immaginazione credevo molto più in alto. Invece, quasi inaspettatamente ritrovo Arnaldo ad attendermi davanti ai ruderi di una casa. Dove siamo?, chiedo. Cavagliasche è la risposta stentorea. Ed allora, quasi incredulo, penso che parte delle mie tribulazioni in ascesa siano terminate...

Questa è la prima di diverse abitazioni, ora diroccate,  che componevano l'abitato di Cavagliasche, che si stendeva su una specie di pianoro per l'ampiezza di quasi un chilometro. Caratteristica di queste costruzioni è la loro dislocazione  isolata l'una dall'altra quasi a sottolineare un certo senso di indipendenza e riservatezza tra gli abitanti. Per comprendere come la montagna fosse vissuta e popolata, oltre un centinaio di anni fa, accludo la tabellina relativa a Castagnola e le sue parrocchie nell'anno 1838.



La prima considerazione che mi viene da fare è che nonostante la sua preminente influenza, Castagnola non era il centro più popolato. Considerando solamente gli insediamenti che gravitavano verso la zona idrografica del Sizzone ed escludendo quelli che erano sull'altro versante di Valduggia, si nota come Soliva con le sue 121 anime facenti parte di 24 famiglie fosse un agglomerato molto vissuto. In effetti la sua posizione solatia (da cui il nome) baciata dal mattino al tardo pomeriggio dal nostro astro favoriva la coltivazione a terrazzamento della zona circostante dando la possibilità di campare a numerose persone.
Cavagliasche. con 37 individui e 5 famiglie aveva un buon numero di abitanti la cui caratteristica, come ho già scritto in precedenza, era la tendenza all'isolamento, in contrasto con gli agglomerati di Soliva e Castagnole che si stringevano intorno alla chiesa formando una comunità più partecipe.
Dalla tabella si può amaramente constatare che nel 1977, al di là di Castagnola che assume tuttora una bella realtà abitativa con addirittura la sede le circolo Acli ben attiva, quasi tutti gli abitanti siano scomparsi. In compenso Cà Ciotino e Cà Giordano, inesistenti nel 1838, hanno dato luogo ad una ripopolazione grazie al fatto, forse, della costruzione della nuova strada di congiungimento tra Soliva e Castagnole, che attualmente è asfaltata e transitabile perfettamente e si collega agevolmente con Valduggia.
Curiosi anche i soprannomi dialettali dati agli abitanti delle varie località. Sarebbe interessante fare una ricerca in proposito contando sulle testimonianze di chi ancora ci vive. A Cavagliasche erano chiamati "luif". Forse lupi? a definirne il loro selvaggio isolamento? Gli altri vanno dai caproni, agli asini, alle volpi, ai fumatori, ai signori, ai pidocchi o avari, ai canterini.

Ci aggiriamo tra i ruderi, notando per la prima volta quell'intreccio di radici avviluppate che corrono verso i tronchi degli alberi per aggrapparvisi e risalirli fino poi a lasciarsi penzolare come liane di una giungla. La nostra attenzione è sollecitata, poi, da un'incredibile interno di una cantina la cui volta denota una eccezionale abilità architettonica di chi l'ha costruita. Ci sorprendiamo a considerare quanto tempo sia riuscita a resistere rispetto alle murature esterne. E ci verrebbe voglia di segnalre a chi di competenza del Parco del Fenera la necessità di conservarla prima che anche lei possa disgregarsi con l'azione demolitrice dovuta all'incuria.




Andando oltre, ritroviamo altri caseggiati, come già ricordato, isolati dai precedenti, e cerco di immaginare dove possa essersi consumato il tragico fatto di sangue del 18 marzo 1944.
Per raccontarlo mi avvalgo delle notizie pubblicate nel sito http://www.isrn.it/default.cfm dell'Istituto Storico della Resistenza di Novara e del VCO "Pietro Fornara" che è veramente un grande raccoglitore delle memorie storiche di quel periodo. Vale la pena di soffermarvicisi per meditare sul sacrificio delle migliaia di giovani che combatterono per un futuro più libero e giusto.



Mario Vinzio "Pesgu" comandante della Brigata Osella.

Ma diventa agghiacciante leggere della testimonianza (non diretta, ma comunque molto vicina a quella realtà) scritta da Giacomo De Vittor partigiano Maggiorino. La trascrivo pari pari dall'opuscolo "Memorie Maggioresi '40-'45" pubblicato dalla Scuola Serale di Disegno "Arch. A. Antonelli" Maggiora con il contributo del comune di Maggiora, della Pro Loco e della Società Operaia M.S.

18 Marzo 1944
Mario Pesgu aveva portato i suoi uomini a Cavagliasche, vicino alla Castagnola di Valduggia.
Rimangono poco tempo. Infatti due giorni dopo, il 18 marzo, i nazifascisti guidati da una spia, circondano in silenzio la baita.
I partigiani non si sono accorti di nulla: Lino Velatta, uscito per prendere dell'acqua è il primo a cadere ferito.
La raffica getta l'allarme e i ragazzi cercano qualunque possibilità per sfuggire alla morsa.
Settimo Cornellio, ferito gravemente, si butta nel bosco. Viene trovato il giorno dopo agonizzante.
Angelo Vallazza di Boca cade trafitto anche lui da una raffica.
Italo Scolari cerca disperatamente di nascondersi; viene trafitto a colpi di pugnale.
Due vengono presi prigionieri e sono fucilati in seguito a Novara.
Il Lupo e l'Ezio Fiorito non potendo più uscire dalla baita, si rifugiano in cantina trascinandosi un ragazzo di Sizzano ferito.
Si nascondono sotto le travi che sostengono le botti, e vi rimangono per altre quattro ore, tutto il tempo che i nazifascisti sono rimasti anche loro in quella cantina ubriacandosi.
Lino Velatta, ferito, è lì in cantina in mezzo a loro; lo vogliono torturare. Alla fine riceve una fucilata alla fronte.
Dal loro nascondiglio vedono bene in faccia la spia mentre prende i soldi dall'ufficiale tedesco, quale pagamento del suo vile servizio.
MILLE LIRE!  SEI MORTI!

Incredibili gli orrori della guerra! Ancor più se generati dall'odio sviluppatosi tra le parti contrapposte dello stesso popolo. ( Meditiamo... I tempi che corrono stanno scivolando verso una simile divisione, per ora, grazie a Dio, solo a parole...). Presumo che il "delatore" possa aver fatto una brutta fine.
I due che vengono fatti prigionieri sono Luigi Rasario ed Elmo Scolari che, avvisato di ciò che stava avvenendo, era sopraggiunto dopo l'inizio dell'imboscata, allarmato per la sorte di suo fratello Italo che in effetti era stato vigliaccamente pugnalato.
Le notizie raccolte e pubblicate, sono a volte anche contradditorie. La confusione dei momenti non facilitava certamente una documentazione dettagliata e univoca.
I due, comunque, dopo essere stati fatti prigionieri vennero fucilati a Novara. Di loro esistono le schede nell'archivio dati dell'Istituto che ho ricordato sopra.


Tragedia nella tragedia. I genitori dei due fratelli Scolari non ressero alla perdita dei loro figli e morirono poco tempo dopo, di "crepacuore" , come si usava dire allora ai tempi in cui i termini scentifici usati in medicina non erano ancora entrati nel gergo comune.
Le poche righe di commiato dalla vita terrena di questi ventenni sono estremamente commoventi e denunciano l'innocente entusiasmo e fede in un futuro migliore che li animava. Il legame con i propri cari e con i parenti ci fanno comprendere di quale pasta fossere fatti quei meravigliosi giovani. (Non di sicuro "banditi" come la propaganda di regime voleva... anche se nella lettera del Rasario viene ripetuto più volte "sono innocente" quasi a discolpa di nomee brigantesche che venivano attribuite ai partigiani).


Osservando la natura selvaggia che la fa da padrona, dalla cresta del monte Lovagone a quella dell'Ovagone, ben si comprende perchè questa zona fu scelta come rifugio per la brigata Osella. La vista, da Cavagliasche, verso sud, dimostra quali e quante possibilità di "imboscamento" esistessero. Purtroppo in quel caso non furono sufficienti a causa del tradimento di qualcuno che sapeva. Tra l'altro, il sentiero per raggiungere Castagnola, verso Ovest,era ancora lungo e necessitava almeno mezz'ora per arrivarci. Ragione in più per ritenersi abbastanza al sicuro. Invece...

Riprendo a descrivere la nostra passeggiata, dopo questo triste racconto- ricordo di una storia  sviluppatasi in questo luogo, oggi così abbandonato e selvaggio tale da faticare a credere  fosse stato teatro di vicende così tragiche. Però questi fatti accaduti qui, sui sentieri che stiamo percorrendo ce li rendono vivi e pregni di significati e le storie che hanno visto e vissuto debbono essere ricordate e tramandate per rendere loro onore.
Dopo aver registrato il Waypopint "bivio per 797a" alla diramazione del sentiero 797, che prosegue fino a Castagnola, continuiamo, appunto, per il 797a, transitando nei pressi di altre abitazioni meno diroccate delle precedenti. Poi si scende leggermente fino a incrociare uno dei tanti solchi scavati dai rami del Sizzone:

Appena prima eravamo transitati davanti al "frigorifero", come ci ha edotto Arnaldo. Una buca scavata in una roccia all'interno della quale un rivolo di acqua sorgiva mantiene la giusta temperatura per conservare cibarie. Naturalmente utilizzata al tempo della presenza degli abitanti di Cavagliasche. E' comunque singolare che sia rimasta inalterata da allora.

Poi, però, si ritorna a salire, come risulta evidente nel grafico di inizio post, dopo il tratto in piano dove sorgevano le abitazioni. Si prosegue sul versante tagliandolo a zig-zag e recuperando quota sensibilmente. Ogni tanto ci si offre uno squarcio panoramico verso nord in direzione Soliva, anche se non è facile averne una visuale decente. Io arranco, in difficoltà e perdo ancora contatto. Preferisco salire a spizzichi per evitare di andare completamente in crisi. Ne approfitto per scattare un pò di fotografie.


Alfine si apre uno squarcio che mi permette di riprendere Soliva, con a fianco Cà Ciotino e, sotto, in mezzo al bosco, Sizzone che abbiamo visitato nella scorsa passeggiata.


Tiro un bel sospiro di sollievo quando vedo Eugenio ed Arnaldo attendermi là dove termina il 797a , all'incrocio con il 798, l'ampia carreggiata tagliafuoco proveniente da San Bernardo. che da qui in avanti inizierà a scendere verso il Molino Ciotino, diventando 798a dopo la deviazione per "le Cappelle", sotto la cima Misocco.

Viaggiamo ora molto spediti. Non ci fermeremo più fino al nostro ritorno a Chepoli. Ogni tanto scatto altre fotografie. Mi interessa in particolare riprendere Castagnola , e finalmente, mentre scendiamo già verso Molino Ciotino si apre uno squarcio che mi permette di riprenderla.

Durante la discesa , ho l'occasione anche di ritrarre nuovamente Soliva, e di farmi poi immortalare anch'io, prima di scattare una immagine dei ruderi, ormai, di quello che una volta era il mulino che asserviva tutta la popolazione della zona per la macinatura della segale coltivata sui pendii della Soliva: il mitico Molino Ciotino.



L'ultimo guado della giornata, alla confluenza del Sizzone di Castagnola con quello del fosso della Bertagnina, e poi, i Brothers più lestamente ed io più tranquillamente, risaliamo il breve tratto che ci porta a Chepoli dove abbiamo la macchina parcheggiata.  Ancora una volta stanco (io) e soddisfatti (tutti) prendiamo la via del ritorno verso casa.